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L’evoluzione del diritto a tutela del bambino. Spunti e riflessioni

Maria Bottaro

3/2007 n.s

Introduzione al problema minorile
 
Negli ultimi trent'anni l'ordinamento giuridico ha mostrato una sensibilità crescente nei confronti del minore interessato da forme di disagio che si ripercuotono sul suo sviluppo psichico. Prima il minore era veramente minore, infatti si trovava in una condizione di inferiorità umana e di assoluta incompiutezza che lo facevano dipendere da altri. La vita dell'infanzia non ha avuto per lungo tempo alcun significato per il mondo degli adulti, per il costume, il minore è stato a lungo percepito come un essere che diviene persona-soggetto di diritti solo dopo essere stato educato e plasmato.
La prospettiva dei diritti e della cittadinanza dei soggetti minorenni è tema cruciale dell'opera pionieristica di Philippe Ariés, ed è inestricabilmente connessa con la tesi che la considerazione sociale e giuridica di bambini e ragazzi si distanzia da quella degli adulti in funzione del riconoscimento dell'infanzia come categoria sociale. Storicamente la vita dell'infanzia non ha avuto per lungo tempo alcun significato per il mondo degli adulti: Montagné, ad esempio, candidamente lamentava di aver perso tanti figli precocemente, ma aggiungeva di non ricordare né il nome, né quanti erano; Voltaire riteneva normalissimo che i suoi figli stessero in un orfanotrofio; Bousset sosteneva che un bambino é solo un animaletto che non conta nulla; secondo il card. De Berulle, la condizione infantile doveva essere considerata la più vile ed abietta; e, secondo Cartesio, era necessario liberarsi dell'infanzia come ci si libera dal male, perché dal fatto che ogni uomo è dovuto essere prima un bambino dipendono i suoi errori una volta divenuto adulto.
Per secoli, dunque, ha prevalso una concezione patrimonialistica del diritto privato, tendente a respingere sul piano dell'irrilevanza l'attuazione dei diritti fondamentali della personalità, non essendo previste dalle codificazioni le cosiddette tutele differenziate. Il bambino è stato visto non come un cittadino- portatore di diritti ed autentica ricchezza da sviluppare, ma come una “cosa” che deve essere plasmata e costituisce un potenziale pericolo per la società.
Non è senza significato che, anni prima della nascita di un giudice per i minori, nel 1874, per proteggere la piccola Mary Ellen dai maltrattamenti del proprio patrigno, non si trovò, nel mondo americano, altro strumento che quello di rivolgersi alla società protettrice degli animali. Ed é assai indicativo che nel 1833 la Corte Centrale Criminale di Londra condannasse un ragazzo di 9 anni all’impiccagione per aver sfondato con un bastone una vetrina; ma nel 1899, la stessa corte s'è mostrata più evoluta e comprensiva: per due ragazzi che avevano danneggiato una porta, erano stati decisi come condanna i lavori forzati!
Solo intorno al 1970 ci si avvia ad un pieno riconoscimento dei diritti anche del soggetto in età evolutiva; all'identificazione di uno statuto di tutela della personalità in formazione; ed alla predisposizione di strumenti per assicurare sostegno, promozione e recupero del minorenne in difficoltà. 
Il diritto, che si era sempre occupato dell'individuo adulto portatore di interessi, per la prima volta accoglie ed ascolta i bisogni della crescita umana del soggetto in formazione e li traduce in diritti soggettivi perfetti. Mentre prima il diritto era uno strumento di garanzia per le acquisizioni economiche e patrimoniali, adesso, invece, è impegnato a realizzare e promuovere la persona nelle sue potenzialità positive, eliminandone le condizioni negative che possono rendere difficoltoso lo sviluppo della sua umanità.
Nel secolo appena trascorso il pensiero attorno ai diritti dei bambini si esprime attraverso strumenti legislativi che organizzano la tutela dei diritti dei minori. L'interesse del soggetto minorenne si identifica con l'attuazione più completa possibile del suo diritto all'educazione, attraverso la creazione di condizioni che possano favorire il più ampio e completo sviluppo della sua personalità, sviluppando progressivamente l'autonomia e la responsabilità.
 
 
 
Le Convenzioni Internazionali a tutela del bambino
 
Il primo strumento internazionale in assoluto, che cita i diritti dell'infanzia è la “Convenzione sull'età minima”, adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel 1919. La prima significativa attestazione dei diritti del bambino si ha con laDichiarazione dei diritti del bambino, adottato dalla Quinta Assemblea Generale della Lega delle Nazioni nel 1924.
Tale documento, che precede di più di vent'anni la “ Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo”, non è però ancora concepito come strumento atto a valorizzare il bambino in quanto titolare di diritti, ma solo in quanto destinatario, né si rivolge agli Stati per stabilirne i doveri, ma chiama in causa l'umanità intera affinché garantiscaprotezione ai soggetti minorenni.
La stesura della dichiarazione è dovuta agli eventi drammatici che hanno caratterizzato l'inizio del '900, in particolar modo la I guerra mondiale. La scomparsa di milioni di persone, il problema delle vedove e degli orfani ponevano in primo piano la questione della salvaguardia delle generazioni future.
E' una collaboratrice della Croce Rossa ad elaborare un testo breve e conciso, recepito prima dell'unione Internazionale per il soccorso all'Infanzia e successivamente adottato all'unanimità dalla società delle Nazioni: la Dichiarazione di Ginevra del 1924. Nel testo della dichiarazione si affermano le necessità materiali ed affettive dei minori, ma si mantiene ancora un impianto assistenzialista.
Dopo lo scioglimento della Società delle Nazioni, si fa strada il progetto di una Carta sui diritti dei bambini.
Nel 1959, all'unanimità, abbiamo la stesura e l'approvazione della Dichiarazione dei diritti del fanciullo da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il documento mantiene gli stessi intenti previsti nella Dichiarazione di Ginevra, ma chiede agli Stati l’impegno pragmatico nella loro applicazione e diffusione. La Dichiarazione, statuto che introduce il concetto della titolarità dei diritti per il bambino, richiamandosi alla Dichiarazione universale del 1948 e alla Dichiarazione del 1924, sancisce, una serie di diritti che nella Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo non erano previsti: il divieto d'ammissione al lavoro per i minori che non abbiano raggiunto un'età minima; il divieto di impiego dei bambini in attività produttive che possano nuocere alla sua salute o che ne ostacolino lo sviluppo sia fisico che mentale; il diritto del minore a ricevere cure particolari. La Dichiarazione, anche se è ancora uno strumento non vincolante, riconosce inoltre il principio di non discriminazione e quello di un'adeguata tutela giuridica del bambino, sia prima che dopo la nascita; ribadisce il divieto di ogni forma di sfruttamento nei confronti dei minorenni ed auspica l'educazione dei bambini alla comprensione, alla pace ed alla tolleranza.
Si prepara, così, la strada per la stipulazione di Convenzioni aventi valore di norme giuridiche vincolanti.
Col diffondersi di nuove conoscenze sociologiche, storiche e psicanalitiche, e con le prime timide innovazioni legislative numerosi educatori, psicologi, sociologi e magistrati cercano di condividere l'idea che il bambino debba essere il soggetto centrale dei provvedimenti che lo riguardano, e che i suoi interessi siano da anteporre a quelli degli adulti. Partendo da questa visione, un gruppo di giuristi ed esperti internazionali si mette al lavoro, cercando di conciliare le tradizioni e le culture dei diversi paesi. Le riflessioni che ne conseguono diventano il tema centrale della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, primo documento in cui non si utilizza la parola “minore”, che evoca lo stereotipo culturale del bambino incompleto in uno status d'inferiorità personale e giuridica, di soggezione a poteri altrui. Perciò l'art. 1 della Convenzione chiarisce ches'intende per fanciullo ogni essere umano avente un'età inferiore a diciott'anni.
La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia con la legge n. 176 del 1991, nel riconoscere il diritto alla libertà di espressione (art. 13), di pensiero, di coscienza e di religione (art. 14), stabilisce nell'art. 12 che “gli Stati parti garantiscono al fanciullo che è capace di discernimento, il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessi, dovendo le opinioni del fanciullo essere prese in considerazione, con riguardo alla sua età ed al suo grado di maturità. A tal fine si darà segnatamente al fanciullo la possibilità di essere sentito in tutti i procedimenti giudiziari che lo interessino, sia direttamente che con intermediazione di un rappresentante o di un organismo appropriato, in modo compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale”.
La Convenzione europea sull'esercizio del diritto dei bambini dice che, purchè il minorenne abbia sufficiente giudizio, nei procedimenti che lo concernono davanti ad un'autorità giudiziaria, sono attribuiti i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare: a) ricevere ogni informazione pertinente; b) essere consultato ed esprimere la propria opinione; c) essere informato delle eventuali conseguenze dell'accoglimento della sua opinione e delle eventuali conseguenze di ogni decisione.
Anche le cosiddette Regole Minime per l'Amministrazione della Giustizia penale minorile, approvate dalle Nazioni Unite il 29 novembre 1985, riconoscono all'imputato minorenne il diritto a tutte le garanzie procedurali tra le quali il diritto di difendersi, il diritto all'assistenza dei genitori o del tutore, e ad essere rappresentato da un consulente o di chiedere la nomina di un avvocato d' ufficio, il diritto a non essere sottoposto a misure extra-giudiziali che implicano l'affidamento a servizi della comunità o ad altri senza il proprio consenso o quello di un genitore o tutore, aggiungendo -tra l'altro- che la giustizia minorile fa parte integrante del processo di sviluppo nazionale di ogni Paese.
Il 18 Marzo 1999 viene approvata a Ginevra la Convenzione sull'età minima, n.138, già conclusa il 26 Giugno 1973.
Il Comitato Internazionale per l'attuazione della Convenzione di New York, dapprima, aveva denunciato l'incompleto adeguamento della legislazione italiana ai principi della Convenzione in tema di ascolto del bambino; attualmente, invece, si assiste ad una inversione di tendenza, che favorisce la riflessione critica su cosa debba intendersi per ascolto e per migliorare le tecniche di ascolto bambino-adulto.
L'art. 4 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 stabilisce che gli Stati firmatari si impegnano ad adottare tutti i provvedimenti legislativi, amministrativi ed altri, necessari ad attuare i diritti riconosciuti ai bambini e ai ragazzi. Tali diritti riguardano il loro benessere, la loro autonomia, il diritto all'educazione, il diritto al riposo e alla attività ricreativa, il diritto alla partecipazione culturale ed artistica, la libertà di associarsi, riunirsi, esprimersi, ricercare, ricevere, e divulgare informazioni, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di essere ascoltato e di esprimere la propria opinione su ogni questione che lo interessa.
Le relazioni familiari del bambino sono riconosciute come ottimali laddove sono costruite su cure adeguate. 
Tra le disposizioni della Costituzione, fonte sovraordinata del nostro ordinamento, che trovano più immediato riscontro negli articoli della Convenzione, vanno menzionate le disposizioni sui diritti fondamentali. Si tratta di quei diritti di libertà che, per la loro importanza, hanno ricevuto un ampio riconoscimento nell'ambito di dichiarazioni internazionali e dei patti delle Nazioni.
Si ricorda che, come la Costituzione Italiana riconosce e garantisce espressamente tali diritti, così nella Convenzione sui diritti del fanciullo sono rinvenibili disposizioni del tutto analoghe, con la sola particolarità dello specifico riferimento ai bambini.
E così, come nella Convenzione, nella Costituzione si sancisce il diritto d'eguaglianza, la tutela delle minoranze linguistiche, il diritto alla riservatezza, il diritto di riunione ed associazione, il diritto alla propria fede religiosa, la libertà di pensiero, il diritto all'istruzione, all'educazione, alla salute, ed altri diritti previsti dalla Convenzione, volti allo sviluppo dignitoso del bambino.
Ed il tanto discusso art. 12 della Convenzione di New York, che dice che gli Stati Parti alla Convenzione devono assicurare al bambino capace di formarsi una propria opinione, il diritto di esprimerla liberamente e in qualsiasi materia, dovendosi dare alle opinioni del bambino il giusto peso relativamente alla sua età e maturità? Nel nostro ordinamento, pur in assenza di una previsione altrettanto ampia e generalizzata, esistono casi in cui la legge prevede che, per l'assunzione di determinati provvedimenti in grado di condizionare la vita del fanciullo, questi venga “sentito” dall'Autorità giudiziaria.  
          
 
 
L'attività legislativa minorile
 
L'Italia ha emanato una serie di leggi per tutelare i diritti dei minori, e quindi, per l'attuazione di quanto recita la Convenzione.
La Convenzione sui Diritti dell'Infanzia del 1989 è stata ratificata in Italia con L. n. 176 del 27 maggio 1991. La delegazione del governo italiano ha presentato il primo rapporto al Comitato ONU dei Diritti del Bambino il 31 ottobre 1995 illustrando le innovazioni apportate sul piano legislativo e le misure prese dal governo per migliorare le condizioni dei bambini italiani. In quell'occasione il Comitato ha proposto di creare una struttura nazionale, regionale e comunale, coinvolgendo anche tutte le ONG e tutte le associazioni impegnate nella tutela dei diritti dei bambini.
Il Piano d'Azione del Governo Italiano, presentato il 27 aprile 1997, si propone, in materia di infanzia, un vero e proprio cambiamento di prospettiva legislativa e politica fra le generazioni.  
Tutti i Ministeri rivestono un ruolo fondamentale nell'attuazione del Piano con spirito di collaborazione nell'interesse dell'infanzia.
Il compito della politica è di promuovere tutti i diritti dei bambini superando la logica che l'intervento deve essere assicurato solo in presenza di disagio. Quindi si deve garantire lo sviluppo armonico della propria identità personale e sociale. Per questa ragione con Legge n. 451 del 23 dicembre 1997 è stato istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari Sociali, l'Osservatorio Nazionale per l'Infanzia presieduto dal Ministro per la Solidarietà Sociale ed è stato reso operativo il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull'Infanzia e l'Adolescenza. Il Centro ha funzioni di supporto all'attività dell'Osservatorio ed è istituito presso l'Istituto degli Innocenti di Firenze. I suoi compiti sono quelli di: contribuire alla stesura del Rapporto periodico sulla condizione dei minori in Italia; individuare in una struttura unica e secondo criteri organici le informazioni riguardanti i vari aspetti della condizione di vita dei minori; svolgere attività di informazione sulla Legge 285 del 1997 a livello locale e nazionale; perciò è stato realizzato e pubblicato il Manuale di orientamento alla progettazione degli interventi previste nella L. 285/97 a livello locale e nazionale.
Altro obiettivo del Centro è quello di curare la redazione della bozza di rapporto che l'Italia deve presentare alle Nazioni Unite secondo quanto previsto dalla Convenzione sui Diritti dell'Infanzia.
La legge 285 del 28 agosto 1997 è anch'essa molto importante, poiché istituisce il Fondo Nazionale per l'infanzia e l'adolescenza finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione e la socializzazione dell'infanzia e l'adolescenza.
Complessivamente, la L.285 del 1997 prevede azioni straordinarie per l'infanzia, ed un particolare rilievo va dato all'art.7 che prevede misure orientate alla promozione della conoscenza dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza presso tutta la cittadinanza, e volte a promuovere la partecipazione dei bambini e degli adolescenti alla vita della comunità locale.
In sintesi, la legge 285 può essere considerata lo strumento primo di attuazione dei principi e delle clausole delineati dalla Convenzione, nella cui approvazione l'UNICEF Italia ha visto il coronamento di uno sforzo in favore dell'infanzia che dura da circa un decennio.
Ma l'Italia s'impegna a mettere in atto quanto dettato dalla Convenzione anche tramite altre leggi: la L. 15 febbraio 1996, n.66 e la legge n. 269 del 3.8.1998. Il corpus normativo introdotto dalle due leggi citate mira alla tutela e protezione della vittima. E, se con la prima si ha il mutamento dell'oggettività giuridica dei reati di abuso sessuale, la legge 269 del 1998 permette all'Italia di allinearsi all'orientamento internazionale in materia di perseguibilità penale per il reato di pornografia minorile, nonché di perseguibilità penale extraterritoriale per i reati di violenza e sfruttamento sessuale dei minori.
Il 25 maggio 2000 viene emanata la n. 148 con cui vengono proibite le forme peggiori di lavoro minorile in ossequio alla Convenzione ed alla Raccomandazione n. 190 adottata a Ginevra il 17 giugno 1999.
Il 4 aprile del 2001 viene emanata la legge n.154 (misure contro la violenza nelle relazioni familiari): con questa legge il giudice può disporre l'allontanamento dell'imputato di violenze nelle relazioni familiari di lasciare immediatamente la casa familiare e di prescrivere il non avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima.
Con la legge n.2 dell'8.01.2001, la legislazione italiana compie un passo in avanti per ciò che concerne la tutela dei soggetti minorenni: viene infatti abrogato l'art.3 della legge 31/05/1975, n. 191 in materia di arruolamento dei minorenni. L'articolo in questione prevedeva che l'età minima per chiedere di adempiere gli obblighi di leva fosse il compimento del diciassettesimo anno di età. Quindi anche in Italia potevano essere arruolati e chiamati a combattere in qualsiasi momento dei minori. Con l'abrogazione dell'art. 3 della legge 191/75 l'Italia si era già schierata contro l'utilizzo dei bambini soldato, in conformità con i principi della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 (art. 38). In questo caso la normativa italiana fornisce una tutela maggiore ai soggetti minorenni, dal momento che la Convenzione del 1989 tutela i minori dall'arruolamento solo fino ai 15 anni. Per rimediare a questa lacuna è stato approvato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il Protocollo opzionale sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, che eleva la tutela fino a 18 anni.
L'11 marzo 2002 viene emanata la legge n. 46, con la quale si dà ratifica ed esecuzione dei protocolli opzionali alla Convenzione dei diritti del fanciullo, concernenti la vendita e la prostituzione dei bambini, e la pornografia rappresentante bambini ed il coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati, fatti a New York il 6 settembre 2000.
In definitiva, l'evoluzione legislativa ha portato ad una forte accentuazione della rilevanza data all'interesse dei minori.
Numerose sono le sentenze della Corte di Cassazione a tutela dei minori, in cui si apre il dibattito sui metodi educativi; viene sempre vietato il ricorso alla violenza per scopi educativi, “Niente violenza con i figli nemmeno se a fin di bene” dice la Corte[1]“L'insegnante che usa mezzi di per sé illeciti risponde del reato di maltrattamento a minori”[2] “E' maltrattamento “l'autoritarismo sterile” della maestra verso gli alunni[3].Una delle più eclatanti[4] recita: è reato umiliare i bambini, chiarendo che per configurare il reato di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina non sono richiesti solo abusi fisici, ma anche quelli psichici in quanto possono causare disturbi allo sviluppo del bambino.
Altre sentenze della Cassazione tendono a prendere in considerazione il minore come teste, e a valutare l'attendibilità del bambino; nel 2003 la Suprema Corte mette a fuoco il concetto di distribuzione, divulgazione e pubblicizzazione, per via telematica, di materiale pedopornografico e marca la differenza con l'ipotesi di semplice, consapevole, cessione dello stesso.[5]La corruzione del minorenne, la violenza sessuale, il computo dell'età, il processo a carico di minorenni, la sottrazione del minore, l'adozione, l'abbandono dei minori etc. diventano temi ampiamente discussi dalla Suprema Corte.
 
 
 
Riconoscimento delle diverse forme di disagio dei bambini.
L'importanza dell'ascolto e l'audizione protetta
 
La crescente cultura dei diritti dell'infanzia promuove attenzione e impegno costante da parte della società nel riconoscere le diverse forme di disagio dei bambini: nascono sempre nuove leggi a tutela dell'infanzia. Nonostante le concettualizzazioni riguardanti le connessioni e le interdipendenze del diritto con la psicologia, tuttavia abbiamo uno scarso riscontro di tali connessioni nella pratica forense.
Un approccio inadeguato può coinvolgere la salute psichica, l'educazione e lo sviluppo comportamentale del bambino; bisogna infatti, tener presente che il contatto del bambino con la struttura giudiziaria avviene, in genere, quando ha già vissuto una situazione traumatica, in famiglia o altrove.
E' in questa situazione di instabilità emotiva del minore che si inserisce l'attività del giudice e dell'organo di polizia e che sorge il pericolo che tale attività contribuisca a rinforzare, nel caso di interrogatorio o di audizione mal condotti, il problema del bambino in difficoltà, diventando per questi una nuova tappa nel suo processo di disadattamento.
Non appare, però, produttivo che il giudice, rendendosi conto di questa situazione di ansia crescente, per paura di accentuarla, rinunci al giudizio, non chiarendo, così, la reale condizione del bambino e dei suoi rapporti con gli adulti: l'ansia cui potrebbe andare incontro il bambino può essere superata facilmente da un bravo operatore.
Per un ascolto empatico dovrebbe essere sempre necessario, rispettare ed aiutare il bambino a esprimere il suo punto di vista, senza conferirgli a priori né lo statuto di fantasia, né all'inverso la prerogativa di rappresentare sempre una realtà fattuale; ascoltare e porsi in sintonia con le sue emozioni, senza sollecitarle e forzarle, prima di sapere come sia possibile contenerle ed elaborarle; recepire i giudizi che il bambino esprime, senza attribuire loro né un'inadeguatezza né una superiorità naturali, rispetto a quelli degli adulti che lo circondano. Di fronte a un atteggiamento di ascolto il bambino si sente invitato ad aprirsi; il clima di accoglimento genera lo scambio, consente di superare il timore di non essere compresi o di essere fraintesi e permette al bambino di evocare e condividere anche vissuti penosi. Per rendere possibile l'ascolto, occorre innanzitutto una comunicazione adeguata. Non tutto dipende dal giudice: se gli altri protagonisti del processo interferiscono in modo inappropriato, possono caricare il bambino di tensioni insuperabili. Il magistrato dovrà possedere capacità comunicative particolari, che in parte corrispondono al suo normale modo di essere, in parte dovranno essere affinate con una adeguata formazione ed esperienza.
Per un'efficace comunicazione con il minore è indispensabile la “consapevolezza del contatto”, volendo usare il linguaggio Gestalt; tra i fattori che migliorano il contatto consapevole i più importanti riguardano l'espressione di sé e richiedono di: dare importanza a quello che si prova, a livello emozionale; esprimere ciò che si prova nel momento in cui si prova e in modo diretto; riferirsi alla reazione emozionale come a qualcosa di proprio, senza imputarlo all'altro.
Quindi, se è vero che al fanciullo va garantito il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, in virtù dell' art. 12 della Convenzione O.N.U. del 1989 sui diritti del fanciullo, è pur vero che va garantita una particolare protezione del bambino durante il colloquio in sede di procedimento.
Ciò significa che nessun interesse deve prevalere su quello di favorire un corretto sviluppo della personalità del bambino; attraverso il processo si deve mirare all'accertamento dei fatti, ma soprattutto mirare alla protezione del minorenne: da questo punto di vista si può parlare di percorso di crescita.
 
 
 
Capacità testimoniale dei bambini e loro suggestionabilità
 
Fino a pochi decenni fa non esisteva un reale dibattito circa l'attendibilità del minore testimone, in quanto i bambini venivano indiscriminatamente considerati “non competenti” a fornire una versione aderente alla realtà storica dei fatti narrati. Poiché un episodio di violenza sul bambino raramente ha testimoni, specie se si consuma tra le mura domestiche, allora non possiamo prescindere dalla sua testimonianza: considerando però che ciò che diventa testimonianza è in primo luogo una narrazione, il racconto di un evento che       viene rappresentato nella memoria e che viene elaborato sulla base di un insieme di fattori psicologici ed ambientali. Infatti, l'informazione, recepita nel suo formato originale, viene confrontata con le esperienze precedenti, e quindi viene inviata ad un magazzino di memoria per essere archiviata definitivamente nella MLT (memoria a lungo termine).
Il c.p.p. riconosce a tutti la capacità di testimoniare, previa verifica, se necessario, dell'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza. Quindi anche il soggetto minorenne gode di questa idoneità: occorre procedere, caso per caso, alla verifica di questo requisito perché la capacità testimoniale del bambino dipende da una serie di fattori (livello cognitivo e di giudizio morale, capacità di comprensione, suggestionabilità, induzione di falsi ricordi ecc.) legati alle specifiche caratteristiche della fase di sviluppo psico-fisica che ne possono alterare la portata.
L'estrema complessità dei fattori da cui dipende la capacità testimoniale ha portato il legislatore a considerare con estrema attenzione il caso delle deposizioni testimoniali dei bambini; quindi, questi ha stabilito che “sono fonte legittima di prova, ma debbono essere sottoposte ad attenta valutazione critica, potendo essere frutto di etero o auto suggestione ovvero della fantasia o dell'immaturità psichica del minore”[6].
Le prime ricerche sulla suggestionabilità dei bambini risalgono alla fine del secolo scorso in Europa, in quanto l'adozione del sistema inquisitorio fa sì che, non essendo presenti una giuria né le garanzie relative al controesame, i giudici si avvalgano di consulenti ed esperti per valutare la competenza a testimoniare del bambino. Gli studi dello psicologo francese Alfred Binet (“La suggestibilitè”,1900), dell'americano W. Stern (1910), dello psicologo belga Varendonck (1911) e del tedesco Lipmann (1911) vanno in questa direzione. Secondo Binet, le risposte errate dei bambini riflettono l'esistenza di “buchi” di memoria, che essi tentano di coprire compiacendo lo sperimentatore, oppure accettando le sue opinioni, che emergono dalle domande suggestive. Inoltre questi spiega la suggestionabilità dei bambini sulla base di informazioni mancanti.  Anche W. Stern agli inizi del XX secolo ritiene che l'intervistatore, per il semplice fatto di avere il potere di porre domande all'intervistato, è spesso il responsabile delle false testimonianze infantili. Egli pensa che i bambini siano facilmente influenzabili dalle domande suggestive, in quanto essi le percepiscono come autoritarie ed impositive; inoltre essi inventano false informazioni poiché confondono la fantasia con la realtà. Le domande suggestive affermano più di quanto non chiedano, guidano la risposta del testimone nella direzione indicata dalla domanda, proprio per questo vengono chiamate “guidate”, anche le domande ripetute possono influire sulla risposta, in quanto se poste più di una volta possono indurre il bambino a credere che la risposta data in precedenza non é quella che può sembrare vera all'adulto, e può quindi essere indotto a modificare la verità con dettagli fasulli. 
Negli stessi anni, Varendonck (1910), psicologo belga, si occupa di un grave processo per stupro ed assassinio di una bambina di nome Cecile, a carico di un uomo del suo paese, durante il quale le amiche della piccola vengono chiamate a testimoniare. Mentre dapprima due delle bambine dichiararono di non sapere nulla, poi, in seguito ad alcune domande fortemente suggestive poste dal giudice, raccontano i particolari dell'assassino e il suo nome, fino ad incolpare il padre di una di loro.
Il tedesco Lipmann (1911) propugna la tesi di una differenza qualitativa, e non quantitativa, tra il funzionamento della memoria negli adulti e nei bambini. I bambini, secondo Lipmann, non hanno meno memoria rispetto agli adulti, ma prestano maggiore attenzione a dettagli differenti rispetto a quelli memorizzati da questi, cosicché, se un bambino viene interrogato da un adulto autorevole su dettagli per lui poco rilevanti, egli finisce per accogliere i suggerimenti dell'adulto al fine di colmare la lacuna dei suoi ricordi.
Studi ed esperimenti vengono condotti anche da Otis (1924) e Shermann (1925), che dimostrano una correlazione significativa tra basso Q.I. e suggestionabilità.
In Italia, Enrico Altavilla, con la “Psicologia Giudiziaria”(1925), e Giorgio Tesoro (1929), con la “Psicologia della Testimonianza”, arricchiscono il bagaglio culturale di ogni giurisperito. Enrico Altavilla sembra (anche se non interamente) riallacciarsi a Lipmann, in quanto afferma che il bambino percepisce più facilmente i dettagli che ricordano percezioni analoghe e inconsapevolmente completa ciò che di nuovo percepisce con attributi di cose percepite precedentemente; è, quindi, proprio per questo motivo ch'egli nota più le somiglianze che le dissomiglianze, più le cose grossolane che le altre. Dice Enrico Altavilla: “… se un bambino, per mancanza di un qualsiasi interesse, ha percepito qualche dettaglio di un avvenimento, ch'è rimasto nel suo ricordo non completato né deformato, è grave errore sforzarlo ad aggiungere altri particolari,  perchè egli intrometterà nel suo racconto elementi immaginati ”. Secondo E. Altavilla, è difficile interrogare un bambino, “essendo questi portato istintivamente ad adattare quello che dice a ciò ch'egli crede che si vuole che da lui si dica”. Il bambino ha molto più intuito e sensibilità dell'adulto, sente con facilità l'opinione di chi lo interroga e resta sconvolto di quella che è la verità. Mentre viene interrogato il bambino non proietta la mente nel passato ad evocare i suoi ricordi, ma è tutto proteso verso l'interrogante per scoprire che cosa desidera che egli dica; e, secondo l'autore, su ciò influisce anche l'abitudine scolastica per cui il bambino è educato a questo sforzo di comprensione. Tra l'altro, secondo l'Altavilla, “il bambino è corroso da una inestinguibile e insaziabile curiosità, manifestazione della necessità di adattarsi sempre più all'ambiente in cui vive, e perciò è un indiscreto che spia alla porta per sorprendere i discorsi dei genitori, che arriva alla simulazione di fingere di essere attento ad un gioco affinché si parli liberamente in sua presenza”. Però la teoria di Altavilla è simile e non uguale a quella di Lipmann, perchè non riesce a vedere l'importanza dell'autore di colui che, interrogando un bambino, potrebbe sviarne le dichiarazioni, ma ne attribuisce gli errori al deficit di source monitoring della mente infantile.
In conclusione, la posizione dell'Altavilla sull'attendibilità testimoniale dei minori sembra connotata quantomeno da un forte scetticismo, per quanto egli cerchi, a più riprese, di negare l'assoluta inammissibilità di qualsiasi testimonianza infantile.
A conclusioni analoghe arriva anche G. Tesoro (1929), il quale sottolinea l'immaturità psicologica e morale del fanciullo, delineando, così, la minore attitudine testimoniale nei bambini.
In tempi più recenti alcune ricerche (Ceci & Bruck, 1993; Clarke-Stewart, Thompson & Lepore 1989; Dent, 1992; Lamb, Sternberg, & Esplin, 1998; Leichtman & Ceci, 1995; Poole & Lindsay, 1995; Saywitz, Goodman, Nicholas, & Moan, 1991; Thomps Clarke-Stewart, e Lepore, 1997) hanno dimostrato come, i bambini, interrogati con domande suggestive, possano facilmente cambiare la narrazione di un evento da loro vissuto. Ceci & Bruk arrivano alla conclusione che i bambini cedono con grande facilità alla suggestione se: sono piccoli; sono interrogati a distanza di tempo; si sentono intimoriti dall'adulto; sono suggestionati da domande mal poste o volutamente viziate; la suggestione viene esercitata da persone affettivamente importanti o comunque da persone ai cui desideri il bambino vuole conformarsi.
In definitiva, si concorda nel ritenere che l'attendibilità di quantoricorda il bambino dipende direttamente dalle condizioni di osservazione, dallo stato della persona che percepisce e da tutti gli altri elementi puntualizzati dalla psicologia della testimonianza.
Accanto ai classici fattori, ormai recepiti dalla giurisprudenza, vanno ricordati “il copione”, “l'attività ricostruttiva”, “ il falso ricordo”, “il contesto sociale della rievocazione”, “la capacità di riferire l'evento in una forma narrativa condizionata culturalmente” e “la suggestionabilità nelle sue varie forme”.
Il concetto di “copione” fa riferimento al principio del “risparmio energetico” inteso come la tendenza della mente umana a procedere secondo la regola del massimo rendimento con il minimo sforzo; i nuovi dati vengono interpretati sulla base di quelli preesistenti nel senso che ad ogni nuova informazione noi non tendiamo a costruire recipienti nuovi ma adoperiamo quellivecchi; i ricordi episodici emergono solo dopo che si è formato lo “ script “ generale per quell'evento. Perchè si possa parlare di “copione” (o script), è necessario che ci sia un certo numero di esperienze di quell'evento, ognuna delle quali deve contenere variazioni di minore importanza. Quando la gamma di variazioni minori è ben delimitata, una deviazione dallo “script” viene avvertita e memorizzata dal bambino. Ma prima di questo momento, tutte le variazioni entrano a far parte del “copione”, da ciò discendono due implicazioni: gli episodi di routine non verranno conservati nella memoria del bambino, in quanto la routine è “aspettata”; non si potrà dire che verranno tenuti a memoria gli eventi unici perché, in quanto unici, non si sarà potuto formare alcuno script di supporto.
 
 
 
I fattori che influenzano il ricordo di un evento e domande mal poste
 
             Nell'art. 12 della Convenzione Internazionale dei Diritti del fanciullo è dichiarata l'esigenza di assicurare al bambino, capace di formarsi una propria opinione, il diritto di esprimerla liberamente ed in qualsiasi materia, dovendo alle opinioni del bambino il giusto peso relativamente alla sua età e maturità. A tale scopo, si darà al bambino l'occasione di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria ed amministrativa in cui viene coinvolto.
             La Corte di Cassazione[7] ha specificato che “le testimonianze dei minori sono fonte legittima di prova: perciò l'affermazione responsabilità dell'imputato può essere fondata anche sulle dichiarazioni di minori, specie se queste siano avvalorate da circostanze tali da farle apparire meritevoli di fede.” Inoltre, “spetta al giudice di merito l'opportuno discernimento tra ciò che è frutto di fantasia o semplicemente di ricordi confusi. Ma quando il giudice riesce a vagliare, con un congruo esame, la validità di tali testimonianze, spiegando le ragioni psicologiche ed obiettive per cui le ritiene in tutto o in parte attendibili, la sua decisione non merita censura in sede di legittimità”[8].
Anche se sempre più spesso il soggetto minorenne viene sentito in ambito giudiziario, difficilmente chi lo iinterroga ha la competenza per farlo: per interrogare un bambino è necessario che lo faccia una persona con una preparazione specifica. In Italia, invece, sembra che il problema non si ponga, la maggior parte dei primi interrogatori dei bambini viene fatta dalla P.G., e questa non ha l'obbligo di una adeguata preparazione specifica.
Il Codice di Procedura Penale[9] dà la possibilità al giudice, nell'esame del bambino, di avvalersi dell'ausilio di un esperto in psicologia infantile durante l'interrogatorio: ciò al fine di garantire un efficace controllo sull'attendibilità del teste e di evitare i rischi di un suo condizionamento ad opera di una delle parti. Da questo punto di vista, la sentenza della Cassazione Sezione III penale (Sentenza 20/4-25/5/2001) ha affrontato il problema della valutazione, da parte del giudice, delle dichiarazioni del minore vittima di violenza sessuale, soffermandosi sulle caratteristiche psicologiche dell'età evolutiva, nonché alla psicopatologia del trauma. Il commento alla decisione della Cassazione viene da una psicologa, psicoterapeuta, S. Spada: il metodo per dedurre dalle angosce i riscontri a sostegno dell'accusa. L'atto di ricordare, infatti, non si risolve semplicemente nel riprodurre verbalmente l'informazione che il testimone percepisce e immagazzina in memoria, “come se questa fosse una fotografia di ciò che è accaduto”[10]; l'evento, quando è trasmesso agli altri, è già passato per i filtri che i fattori psicologici ed ambientali hanno provveduto a far nascere.
I fattori che influenzano il ricordo di un evento da parte di un bambino sono numerosi e tra questi ricordiamo: la conoscenza precedente; lo stress; l'essere un semplice osservatore o un partecipante attivo; l'età; l'intervallo di tempo tra l'evento e il momento in cui ricordarlo; il richiamo multiplo; la modalità di intervista.
La legge 15 febbraio 1996 n. 66 (art.14) prevede in alcuni casi “l'audizione protetta” del bambino, però nella realtà questa può essere messa in atto solo in quelle regioni italiane, in cui la polizia sia stata formata sulle modalità da seguire nel condurre un interrogatorio.
La memoria dei testimoni può essere alterata dal tipo di domande poste durante gli interrogatori dalla polizia o dagli avvocati o dai magistrati: in genere le domande fortemente suggestive e tutte le informazioni fornite al testimone successivamente alla percezione dell'evento, vengono inconsciamente incorporate nella memoria del fatto da raccontare.  
Non è cosa facile intervistare un bambino. Chi intervista il bambino deve tenere presenti poche ma importanti conoscenze di base sulle sue caratteristiche, che, più è piccolo, più sono accentuate: i bambini pensano che i grandi sappiano tutto, e quindi credono alle informazioni suggerite loro dagli adulti; il pensiero del bambino spesso segue regole distorte che non sono quelle del pensiero adulto. E' quindi indispensabile prima di interrogare un bambino accertare: il suo sviluppo cognitivo; la sua capacità di utilizzare il linguaggio; la sua capacità di collocare gli avvenimenti in una progressione temporale corretta. Tutto questo in considerazione del fatto che la capacità testimoniale di un bambino non è correlata unicamente e semplicemente alla sua capacità di memoria, ma anche allo sviluppo del suo sistema cognitivo in generale.
 
 
 
Tecniche di intervista e loro applicazione in relazione alle variabili tempo ed età
 
All'inizio degli anni ottanta, Geiselman e Fisher elaborarono un metodo di intervista allo scopo di aiutare la polizia giudiziaria nell'interrogatorio dei testimoni. Questo tipo di intervista, però, è adatto soltanto alle persone intenzionate a fornire una testimonianza corretta. In una situazione dove i testimoni intenzionalmente rifiutano di dare informazioni tale intervista non sarà di alcun aiuto. Questo tipo di intervista fu chiamato Intervista Cognitiva (I.C.).
L’intervista si pone gli obiettivi di: ricostruire il contesto e lo stato psicologico vissuto al momento dell'evento, per cui si chiede al testimone di rivivere mentalmente il contesto ambientale e lo stato d'animo personale presenti al momento dell'evento criminoso. In seguito, lo si invita a riferire qualsiasi dettaglio si possa ricordare dell'evento. A questo punto il bambino può rievocare liberamente l’evento da qualsiasi prospettiva, infatti gli si potrebbe chiedere cioè di rievocare gli eventi, così come li avrebbero potuto vivere la vittima o qualche altro soggetto.
Ovviamente, durante l’intervista non si può non considerare lo stato emotivo del piccolo testimone, perciò è sempre necessario poter “sagomare” l’intervista alla realtà di chi sta testimoniando.
L' IC rappresenta per il testimone un compito piuttosto faticoso e complesso, per cui è necessario il massimo della concentrazione: l'intervistatore dovrà dunque facilitare la concentrazione del testimone, evitando ogni fonte di distrazione.
Nel 1994 Koehnken e collaboratori propongono una tecnica di recupero dell'informazione alternativa all'Intervista Cognitiva: l' Intervista Strutturata. L' IS conserva alcune caratteristiche dell’intervista cognitiva: la costruzione di un buon rapporto con il testimone, l’ascolto attivo della narrazione del bambino senza introdurre interruzioni, l’uso di domande aperte, ma è caratterizzata da una differenza: non utilizza tecniche cognitive per il recupero dell'informazione, piuttosto si avvale di una seconda narrazione libera dell’evento da parte del testimone. 
Memon e coll.(1997) hanno distinto il tipo di informazioni ricordate rilevando che l'aumento di   informazioni corrette, ottenuto con l'Intervista Cognitiva, riguarda soprattutto le azioni e gli oggetti, mentre l'aumento degli errori si focalizza prevalentemente nella descrizione delle persone.
Questi studi possono essere molto utili a operatori come polizia, avvocati, giudici, che interagiscono con un bambino.
Inoltre, secondo la Cavedon (1995), nell'intervista con i bambini è molto importante la fase preliminare, in cui si mette al corrente il piccolo testimone di cosa si vuole da lui, si cerca di rassicurarlo, e di metterlo a proprio agio.
Secondo Memon e Vartoukian (1996), nei bambini più piccoli il minor tempo trascorso renderà la ricostruzione del contesto presente nell'Intervista Cognitiva maggiormente efficace.
Larson, Granhag e Psjut (2002), però, recentemente in esperimento con bambini di 10-11 anni hanno trovato che l'Intervista Cognitiva può essere ritenuta un valido strumento sia dopo intervalli brevi che dopo intervalli lunghi di ritenzione.
In relazione alla variabile tempo, Milne e Bull (2003) sono del parere che sono necessari ulteriori approfondimenti per valutare l'efficacia delle cosiddette mnemotetcniche, caratterizzanti l'IC.
Rispetto alla variabile età, un dato interessantissimo, ci è fornito da Holliday che nel 2003 conduce degli esperimenti sulla qualità del ricordo confrontando un gruppo di bambini di 4-5 anni ed un gruppo di bambini di 9-10 anni. Questi arriva alla conclusione che i bambini più piccoli forniscono resoconti meno accurati di quelli forniti dai più grandi, però il loro ricordo è migliore rispetto a quello ottenuto con uno dei tipi di intervista applicata ai bambini piccoli (Memorandum of Good Practice).
Uno strumento che valuta l’attendibilità della deposizione del bambino è la Statement Validity Analysis (S.V.A.), sviluppata in Germania da Udo Undeutsh negli anni '50. L’ipotesi di base considera la sostanziale differenza, nella struttura e nel contenuto, delle dichiarazioni reali rispetto a quelle che sono frutto della fantasia. L’applicazione dello strumento prevede l’ascolto del racconto del bambino e la valutazione del racconto secondo dei criteri di base, con l'esclusione di ulteriori richieste al bambino; il giudizio dell'esperto è il risultato di una complessa procedura di ipotesi e loro verifica che comprende una continua integrazione di feedback provenienti da una raccolta di dati psicologici e forensi (Steller e Boychuk, 1992).
Nel contesto internazionale, numerose sono state le ricerche condotte sul campo, ma al di là dei risultati di conferma o meno sulla sua validità, tutti gli studiosi sono stati concordi nell'evidenziare la necessità di ulteriori approfondimenti su alcuni aspetti (fattori culturali, utilizzo con gli adulti, possibilità di falsare le analisi…), anche in Italia la ricerca si è interessata al metodo S.V.A., descritto e studiato in diverse pubblicazioni (Mazzoni,2000; Dettore e Fuligni, 1999), e che inizia ad essere utilizzato anche nella pratica professionale.
La maggior parte delle ricerche, come spesso accade, ha però utilizzato interviste raccolte in contesti sperimentali mentre pochi studi hanno utilizzato interviste reali.
 
 
 
Riflessioni conclusive
 
Da quanto detto sembra emergere che, vista la complessità dei vissuti del bambino, prima considerato come un adulto incompleto, il suo ascolto non può essere inteso come una presa d'atto.
Spesso negli atteggiamenti dei bambini stanno reticenze e camuffamenti dei propri sentimenti: sono questi i cosiddetti adattamenti “camaleontici” alle varie situazioni della vita. Un procedimento giudiziario, in cui è coinvolto un bambino, non può essere uguale a quello condotto con un adulto. Nel primo caso siamo di fronte ad un soggetto che, di norma, è una persona ampiamente sensibile e suggestionabile: può essere che anche la seconda lo sia, ma questa costituirà l'eccezione e non la regola.  
Si auspica, dunque, un intervento del legislatore per una maggiore applicazione delle tecniche di intervista, in quanto l'ascolto è la più importante espressione del diritto del minore.
 
 
       
 
BIBLIOGRAFIA
 
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– SPECIALE “Il Mondodomani” n.5, maggio 1998
 
 
 
 
APPENDICE E RIFERIMENTI LEGISLATIVI
 
  1. Musacchio, Il codice dei minori ,casa editrice La Tribuna 2006
Delib.ne Assemblea Costituente 22dicembre 1947. Costituzione della Repubblica Italiana.
“Convenzione sull'età minima”, adott. Conf. Internaz Lavoro 1919
Dichiarazione di Ginevra, Lega Nazioni, Marzo 1924.
Dichiarazione 20 novembre 1959. Dichiarazione dei diritti del fanciullo.
Dichiarazione 29 novembre 1985. Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile.
Convenzione n.138 concernente l'età minima di ammissione all'impiego, conclusa il 26.6.1973, approvata il 18.3.1999.
Convenzione O.N.U. Di New York del 20.11.1989
Convenzione europea 25 gennaio 1996
 
L.27 maggio 1991, n. 176: ratifica ed esecuzione della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo.
Raccomandazione di Ginevra del 17.06.1999, n. 190
Piano d'azione del Governo italiano 27 aprile 1997
Legge 31.5.1975 n.191
Legge 23 dicembre 1997 n.451
Legge 28 agosto 1997     n.285
Legge 15 febbraio 1996    n.66
Legge 3 agosto 1998         n.269
Legge 25 maggio 2000     n. 148
Legge 4 maggio 2001       n.154
Legge 11 marzo 2002       n.46
Legge 8 gennaio 2001       n. 2
Sent. Cass. Pen. Mass. Ann. 1968 985, m. 1463
Sent. Cass. Pen. Sez.I, 2 aprile 1973, n. 414; conf 5 aprile 1984, n. 3102
D.P.R. 22 Febbraio 1988 n.447 art. 498 comma 4.
Sentenza Corte di Cassazione sezione VI Penale, 25/05-5/09/1996 n.8314
Cassazione SezioneIII Penale, sentenza 20/4-25/5/2001
Sentenza Corte Cass. n. 43673/02
Sentenza Corte Cassazione Sezione quinta, sentenza n. 4900/03
Sentenza Cassaz. Vi Penale, n. 16491/05