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Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma – Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma

PERIFERIE SOCIALI…ESTESE, DIFFUSE

F. Martinelli

1/2008 n.s

Nel più recente dibattito sullo sviluppo della popolazione mondiale emerge nettamente il tema dell’aumento progressivo di numero e percentuale di popolazione urbana e al suo interno l’incremento e l’estensione delle megalopoli. Un volume edito dall’UNFPA sullo Stato della popolazione nel mondo, nell’introduzione dedicata all’alba del millennio urbano, apre con la seguente perentoria affermazione: “Nel 2008 il mondo raggiungerà una meta invisibile ma di straordinaria importanza: per la prima volta nella storia oltre metà della popolazione umana, 3,3 miliardi di persone, abiterà in aree urbane. Entro il 2020 questa cifra aumenterà, in base alle attuali previsioni, fino a sfiorare i 5 miliardi. Molti dei residenti urbani saranno poveri…
Se nel corso del XX secolo la popolazione mondiale urbana è cresciuta con estrema rapidità, passando da 220 milioni a 2,8 miliardi, (con un aumento di più di 12 volte) i prossimi decenni vedranno un tasso di crescita senza precedenti nel mondo in via di sviluppo”[1].
L’attenzione della pubblicistica è orientata in particolare sullo sviluppo delle grandi città. Uno studioso che insegna storia della cultura e dei media all’Università di Saarbrücken, Clemens Zimmermann, in un volume sull’Era delle metropoli ha analizzato in particolare la nascita e lo sviluppo della grande città europea, analizzando in modo specifico cinque città. Di Manchester, definita città industriale classica, ha approfondito il tema della crescita della città industriale, già studiata da Engels, ed ha analizzato l’opposizione tra slum e quartieri alti e il rapporto slum e comunità. Di San Pietroburgo, indicata come finestra sull’Europa, ha approfondito il tema di come la rivoluzione del 1917 abbia dato incentivo ad uno sviluppo proseguito nel tempo. Di Monaco ha messo in luce i multiformi aspetti dello sviluppo edilizio, dell’organizzazione dello spazio urbano e dell’arte del buon vivere. Di Barcellona ha messo in risalto la crescita demografica e la recente spinta alla modernizzazione. Di Torino ha descritto il primo sviluppo urbano con la delimitazione delle barriere e il più recente tentativo di affiancare all’attività industriale nuovi aspetti di modernità[2]. Su questo tema un’analisi dettagliata era stata condotta dal Comitato Giorgio Rota, nel terzo rapporto sulla grande Torino, che, insieme a successive pubblicazioni, ne ha seguito la crescita demografica e la recente spinta alla modernizzazione[3].
In un recente speciale “Viaggio nelle metropoli del terzo millennio” il mensile Lo specchio della Stampa di Torino dedicava una serie di monografie ad alcune grandi megalopoli mondiali. Sono descritti lo sviluppo di Dubai, città nel deserto, Montreal, regina del design, Buenos Aires e la sua miracolosa rinascita dopo una lunga crisi, Malmöo, Macao, New York. Questi nuovi studi, condotti con approfondimenti alla letteratura di riferimento, accentuano l’enfasi sulla bellezza delle città europee e sulla ricchezza delle megalopoli mondiali. Nessun accenno alle problematiche affrontate in passato da Lewis Mumford[4].
Come si vede, le numerose rilevazioni demografiche e le ampie ricerche storiche e sociologiche – di cui si è dato esempio – molto aggiungono alla letteratura della sociologia urbana, come è stata presentata e discussa nei miei volumi di scelta antologica Città e campagna e La città i classici della sociologia[5]. Rispetto a questi autori, sociologi ed altri che sono venuti dopo aggiungono ampia informazione. Dalla riflessione del sociologo tuttavia viene la constatazione che non sia possibile, per lo meno abbastanza inutile, tentare di riportare questi studi alle definizioni classiche di città, come quella considerata fondante data nel saggio “La città” in Economia e società di Max Weber[6]. Coloro che si sono occupati sia degli aspetti teorici sia della produzione di ricerche sulle città, così come che scrive, osservano che tale impresa sarebbe una esercitazione senza grande utilità. Meglio continuare invece negli studi e nelle analisi empiriche degli aspetti sociali delle città contemporanee, piccole, medie, città milionarie e megalopoli, nei processi degli attuali frenetici sviluppi.
E da qui nasce la decisione di dedicare un libro alla definizione di Periferie sociali, intese come le parti di città ubicate all’esterno o diffuse all’interno degli agglomerarti urbani del passato e del presente, che ospitano popolazioni in condizioni di minore reddito, disagio abitativo, consumi limitati, a volta povertà e miseria. In tale ottica la periferia è considerata con riferimento alla qualità della sua popolazione.
Questo libro si propone di conseguire inoltre altri obiettivi: dare ordine al rapporto centro-periferie; consegnare alla riflessione sociologica i risultati di alcune ricerche inedite svolte nell’esplorazione di alcune aree urbane specifiche, abitate da classi sociali più povere; aggiungere una riflessione sull’evoluzione attuale della dislocazione delle nuove periferie sociali, condotta su analisi empiriche più recenti. In tale contesto i risultati di ricerche che qui presento sono prodotto delle attività di cattedra di sociologia urbana e rurale dell’Università di Roma “La Sapienza”, dove ho insegnato e insegno dal 1981 ad oggi.
Si tratta di ricerche su periferie estese ed esterne: gli slum di Kibera presso Nairobi nel Kenya in Africa Orientale e l’area metropolitana di San Salvador a El Salvador in Centro America; e due ricerche su diverse condizioni del Comune di Roma: lo sviluppo di Tor Bella Monaca, da borgata spontanea esterna alla città al processo di costruzione di un insediamento di edilizia economica e popolare e alla sua più recente trasformazione in quartiere; la vicenda dell’occupazione e dello sgombero di un edificio pubblico, i magazzini della Stazione Tiburtina, da parte di una comunità di rifugiati, come esempio di periferia interna alla città.
In questo libro sono presenti – anche quando non siano riferiti specificamente – le esperienze e i risultati di mie precedenti ricerche, in particolare quelle sulla povertà[7]. Non sempre le periferie ospitano popolazioni povere e tuttavia come sociologo mi interessano di più le periferie estese e diffuse delle popolazioni povere, dove sarebbero e sono più urgenti interventi sociali. Le ricerche presentate hanno la qualità di ricerche per l’intervento sociale.
Nel momento della celebrazione trionfalistica delle megalopoli e dello sviluppo della globalizzazione, io continuo ad occuparmi delle popolazioni più disagiate, che però riguardano una maggioranza della popolazione mondiale.
 
Negli studi dedicati da sociologi alle città, esaminate nella loro componente morfologica ed in particolare nel loro rapporto popolazione-territorio, non è stato sufficientemente messo in luce come nelle ricerche prodotte la collocazione delle fasce sociali – classi sociali, strati sociali, ceti sociali, poveri – non sia stata trattata secondo un modello unico. Come può vedersi nella breve rassegna di opere di sociologi della tradizione classica che segue, spesso non vi è coincidenza tra distribuzione delle classi povere e periferia. Sembra invece che, per lo meno fino ai processi di prima industrializzazione alla fine del secolo XIX e all’inizio del XX secolo, gli insediamenti delle classi subalterne e dei ceti poveri siano stati organicamente legati a zone disagiate dei centri urbani, disponendo spesso di una propria area esclusiva, mentre la collocazione di questi stessi ceti in aree esterne si sia più sviluppata nella seconda fase del processo di industrializzazione.
La periferia intesa in senso urbanistico, come costruzione esterna alla città, e la periferia sociale intesa in termini di marginalità sociale che può essere estesa all’esterno o diffusa nei centri, appaiono talvolta collocate in aree non coincidenti. Questa breve e sintetica notazione deve però essere provata. A tale scopo ci proponiamo di passare in breve rassegna alcuni dei più importanti studi sociologici sulle città effettuati da autori, anche di diversa scuola, le cui opere sono state in seguito acquisite al corpus della letteratura di sociologia urbana, limitandoci a riprendere situazioni già note e approfondite nella letteratura sociologica per renderne comparabili i contenuti. Si fa dunque riferimento direttamente alle fonti di questi autori, rimandando, quando ve ne sia necessità, ad opere di commento che sono state numerose e importanti, ma il cui approfondimento appesantirebbe gli scopi di questo studio. Passeremo dunque in rassegna le principali opere sulle città di Friedrich Engels, di Charles Booth, di Ernest Burgess, di Robert e Hellen Lynd, di Lloyd Warner e dell’autore di Levittown, Ernest Gans, riportandone alcuni passi principali e alcune illustrazioni relative.
 
Nel dibattito sulla città un tema ricorrente – e non da oggi – è quello del suo destino. Nel mondo antico un evento naturale ha dato luogo al mito di Atlantide, narrato da Platone nei dialoghi Timeo e Crizia. Alle origini della tradizione ci sarebbe stata una guerra iniziata dagli abitanti di Atlantide, che avevano tentato di conquistare tutto il mondo ma erano stati sconfitti dagli Ateniesi. Ciò sarebbe avvenuto 9000 anni prima di Solone (nel 9600 a. C.). Alla base della distruzione della città vi era stato probabilmente un evento tellurico, documentato nell’isola di Santorino. Il mito greco tuttavia riguarda l’idea che le città possono precipitare da un’epoca di grandezza e di dominio alla decadenza e alla scomparsa.
Ha scritto Platone nel Dialogo Timeo: …“Ora in quest’isola Atlantide v’era una grande e mirabile potenza regale, che possedeva l’intera isola e molte altre isole e parti del continente. Inoltre di qua dello stretto dominavano le regioni della Libia fino all’Egitto e dell’Europa fino alla Tirrenia. E tutta questa potenza raccoltasi insieme tentò una volta con un solo impeto di sottomettere la vostra regione e la nostra e quante ne giacciono di qua dalla bocca. Allora dunque, o Solone, la potenza della vostra città apparve cospicua per virtù e per vigore a tutte le genti: perché avanzando tutti nella magnanimità e in tutte le arti belliche, parte conducendo l’armi dei Greci, parte costretta a combattere sola per la defezione degli altri, affrontati gli estremi pericoli e vinti gli assalitori stabilì trofei e scampò dal servaggio i popoli non ancora asserviti, e liberò generosamente tutti gli altri, quanti abitavano al di qua delle colonne d’Ercole. Ma nel tempo successivo, accaduti grandi terremoti e inondazioni, nello spazio di un giorno e di una notte tremenda, tutti i vostri guerrieri sprofondarono insieme dentro terra, e similmente scomparve l’isola Atlantide assorbita dal mare; perciò ancora quel mare è impraticabile e inesplorabile, essendo d’impedimento i grandi bassifondi di fango, che formò l’isola nell’inabissarsi”[8].
Nella cultura giudaica un evento simile – in circostanze e con modalità diverse – è raccontato a proposito di Babilonia o Babele, in accadico Babìili “Porta del Dio”, in greco Babilon. La città, sorta su un precedente sito dei Sumeri, è ricordata già nel XXIV secolo a. C. e fu al culmine della potenza sotto la dinastia di Hammurabi, l’autore del famoso codice che costituì un esempio di legislazione importante per il suo tempo, unificatore della Babilonia. Conquistata da Alessandro il Macedone, cadde in rovina al tempo di Adriano. La tradizione biblica narra il progetto di costruire una torre che arrivasse al cielo, ma l’impresa fallì a causa dell’incomunicabilità delle lingue.
Nelle diverse epoche storiche alcune città si distinsero per il loro sviluppo e la loro importanza fino a diventare dominanti nel mondo a loro contemporaneo: Roma imperiale, Bisanzio, la capitale del Celeste Impero.
In epoca moderna grandi città, dominanti vaste regioni mediante espansione commerciale e militare furono le città europee, come Londra alla vigilia della rivoluzione industriale. In epoca contemporanea si è manifestata una proliferazione di città primaziali. La geografia e anche la sociologia fanno fatica a seguire il processo di moltiplicazione e espansione delle città. I rapporti dell’United Nations Demographic Yearbook, che classifica le città sulla base di valutazioni sul numero degli abitanti applicate a unità amministrative in urbane e rurali, hanno recentemente annunziato che la popolazione urbana – abitanti nelle città con più di 30.000 abitanti – è ormai giunta a superare la metà della popolazione mondiale. La stima complessiva sarebbe una valutazione della popolazione mondiale nel 2007 di 6.615,9 milioni di abitanti, di cui il 50% di popolazione urbana, (il 75% nelle regioni sviluppate, il 44% nelle regioni in via di sviluppo, il 28% nei paesi meno avanzati)[9].
Riguardo all’avvenire delle città uno studio classico di Jane Jacobs in un volume titolato Saggio sulle metropoli americane analizzava la natura specifica delle città (la funzione dei marciapiedi, dei parchi e dei quartieri, dei vicinati urbani); le condizioni della diversità urbana; i fatti di decadenza e di rigenerazione, tra cui la formazione e l’intasamento degli slum; per indicare poi le possibili tattiche di intervento. Queste sono indicate nelle seguenti: il sovvenzionamento dell’edilizia residenziale, erosione delle città o eliminazione dell’automobile; l’ordine visuale urbano suoi limiti e possibilità, il recupero dei complessi edilizi, l’amministrazione e l’organizzazione dei distretti urbani, la natura dei problemi urbani[10].
Di fronte ai problemi di gestione e sicurezza delle città le opinioni sono diverse. Jean Gottmann in un capitolo “Per salvare la torre di Babele” ha scritto: “La grande rivoluzione tecnologica dei trasporti e delle comunicazioni che sta interessando profondamente tutte le attività moderne e le pubbliche relazioni non ci aiuta a vivere con sicurezza e sprezzantemente nelle nostre torri d’avorio… Lavorare e vivere assieme a gente tanto diversa che ci sembra bizzarra è difficile. Imparare a dividere lo spazio ed i servizi con essa e a comunicare in modo reciprocamente soddisfacente è ancora più difficile. Ma il raggiungimento della nostra felicità dipende oggi dalla nostra capacità di raggiungere questa coesistenza e questa armonia[11]”.
Più recentemente diversi autori hanno parlato di declino della città. Un sociologo, Giuliano Della Pergola, che ha sostenuto tale tesi, così ha scritto: “Grandi problemi s’affacciano in questo nuovo stadio della formazione dei sistemi urbani complessi. Questi mi sembrano i quattro problemi più impellenti: l’avvento di nuove forme di miseria, che costituisce l’altra faccia della medaglia della nuova ricchezza indotta dalle Nuove Tecnologie dell’Informazione; le molte questioni legate alla creazione di una società multietnica; il problema ambientale; il governo delle nuove aree urbanistiche e informatizzate”[12]. In un Quaderno del Circolo Rosselli, l’architetto Pier Luigi Cervellati individua il declino della città nella congestione prodotta dall’abusivismo edilizio e da villettopoli, nella deregolazione, nella mancanza di pianificazione[13].
Tra le due prospettive della Città invincibile e del Declino della città, in considerazione delle analisi che abbiamo presentato ci sembra che una prima conclusione sia – per un sociologo – che è diventato sempre più difficile considerare la città come tipo ideale, talmente numerosi e contraddittori sono i fenomeni che occorre prendere in considerazione per costruirlo sia nei progetti sia nei fatti. In conseguenza di ciò, come si è affermato nell’Introduzione, diventa sempre più importante il lavoro di ricerca sul terreno per dare conto dei fenomeni specifici di ogni singola città.
Una seconda conclusione è che la contrapposizione centro-periferie sembra superata. In un saggio nel volume collettaneo su Verde e quartieri nella città metropolitana, Marcello Vittorini ha scritto: “Il vecchio discorso sull’antitesi fra città e periferia che identifica nella periferia tutto ciò che è marginale rispetto alla città non regge più: da un lato perché l’abitante delle periferie non è più un emarginato, ma rivendica la dignità del suo status di cittadino; dall’altro lato perché statisticamente la periferia, che prima rappresentava una piccola parte della città e si riduceva in borghi ‘extra moenia’, oggi rappresenta la maggior parte del sistema insediativo. A Roma contro i 100/120.000 abitanti del centro storico, ce ne stanno 300/400.000 nella città consolidata e compatta, quella che ha ancora un tessuto riconoscibile, mentre nelle periferie vivono due milioni e mezzo di sottocittadini. I quali, quindi, non sono una minoranza, ma una maggioranza consistente che non vuole più restare in una condizione di “non città””[14].
Vittorini fa sua l’interpretazione nelle mie prime ricerche sulle periferie romane nel mio libro Roma nuova, a conclusione delle quali avevo scritto: “Per quanto riguarda le ricerche… mi sembra di poter confermare che la conclusione relativa ad una fine della marginalità nelle periferie romane debba ritenersi valida per le realtà empiriche scelte nell’indagine, nel senso che quelle zone – tipiche ed emblematiche delle borgate perimetrate e dei complessi di edilizia pubblica e popolare – non debbano considerarsi aree globali di marginalità”[15].
Sulla scomparsa dell’opposizione centro periferia l’urbanista Alberto Prina sottolineava con enfasi questa nuova visione del costruire: “È un concetto vecchio quello di avere città che hanno un centro e una periferia: le città nella loro prefigurazione urbanistica futura dovranno essere policentriche… Non esiste una periferia e un centro, ma ci sono diversi centri, con immagini, identità e specializzazioni diverse”[16].
Anche limitandoci ai materiali di documentazione empirica che sono stati presentati – ricerche condotte con modalità e in occasioni diverse – occorre costruire una diversa tipologia di periferia. Infatti considerando non la collocazione degli insediamenti (la variabile urbanistica) ma la qualità sociali degli abitanti, ci sembra di avere individuato nelle città – almeno in quelle – e dunque, considerando le periferie sociali periferie estese, in prevalenza distribuite all’esterno della città tradizionale, e periferie diffuse, distribuite sia nei centri che inserite nelle periferie esterne.
Ciò può essere provato dalle più recenti indagini svolte nell’area romana. Si segnalano in essa insediamenti di popolazioni svantaggiate in aree e collocazioni nuove, riguardanti immigrati e senza casa. Sono ormai adibiti ad abitazioni, in larga parte della città, locali sul piano cantine; si segnala la diffusione della pratica di appartamenti dati in affitto a più famiglie (una famiglia per stanza e servizi di cucina e bagno in comune, fino a 40-50 inquilini per appartamento) come nei Cortiços brasiliani, definiti abitazioni collettive di famiglie povere, diffusi a San Paolo, e nelle Komunalka presenti a Mosca e in altre città russe moderne. Continua ad aumentare il numero dei senza casa.
Quali sono le diverse forme attuali di periferie sociali a Roma. Sono da considerarsi periferie sociali, inserite ai margini o al centro, gli insediamenti di occupanti di edifici diversi pubblici e privati – fabbriche, scuole ed edifici dismessi – così come le recenti baraccopoli, sorte nel cuore del centro storico, che costituiscono una nuova modalità di insediamento di individui, o famiglie Homeless senza casa, che tentano di costruirsi, individualmente o in gruppo, una abitazione precaria. Di questo fenomeno, che a Roma è di dimensioni notevoli, finora la maggior parte di notizie si aveva in occasione delle operazioni del loro sgombero.
Le operazioni proseguono fino a tempi recenti. Su Il Messaggero-Cronaca del 20 luglio 2007 si è appreso: “Niente più roghi di copertoni e spazzature con il fumo che arriva fin sul viadotto della Magliana e blocca per ore gli automobilisti, niente più bambini e ragazzini che attraversano i binari della Roma-Fiumicino per arrivare a casa, alle baracche. Il Campo abusivo di vicolo dell’Imbarco, lungo il Tevere, quelle cento costruzioni di lamiera e mattoni tra i cespugli e gli argini del Tevere, quei chioschi di bibite e biliardo con mille, millequattrocento persone, è stato sgomberato”[17]. Nessuna notizia su dove fossero deportati i 1000-1400 romeni cittadini europei.
Più recentemente il prof. Francesco Careri, della facoltà di architettura dell’Università di Roma Tre ha esaminato in un corso di arte civica intitolato “Sui letti del fiume” il fenomeno dell’occupazione abusiva sulle rive del Tevere scoprendo una rete di baraccopoli. Intervistato in Metropoli-la Repubblica ha così dichiarato: “L’intento è di avvicinare gli studenti al fenomeno della recente trasformazione del Tevere in un habitat di nascondigli e giacigli dove trovano rifugio soprattutto immigrati e rom: nessuno sa di preciso quanti sono, da dove vengano, come abitano abitavano o vorrebbero abitare. Da una stima approssimativa, da Fiumicino a Saxa Rubra ci sono 5 mila persone, di cui il 20-30% sono bambini. Vivono senza acqua potabile, in pochi hanno il generatore di corrente e le roulotte usate, che si possono acquistare a 400 euro, sono privilegio dei benestanti… Ci sono differenze anche nell’ambito della vita misera che accomuna questa gente. Tra tanti bambini ci sono alcuni che giocano nel fango ed altri puliti e vestiti decorosamente, che ogni mattina vanno a scuola. Quasi il 90% è di origine romena…”[18].
La ricerca è stata condotta insieme al gruppo Stalker/Osservatorio nomade. Osserva Paolo Nicoletti, scrittore e membro dell’Osservatorio: “È impossibile concentrare mille persone nello stesso posto, le domande abitative sono diversissime. Stalker intende aprire un laboratorio permanente sul Tevere e dedicarsi alla progettazione di campi attrezzati il più possibile flessibili”[19].
Le città contemporanee, divenute un crogiuolo di abitanti, residenti, immigrati, consumatori, ospitano popolazioni periferiche sia all’esterno del territorio continuo, nelle disperse aree metropolitane o nelle nuove periferie delle periferie, sia all’interno della città consolidata, in una vicinanza simbiotica o in una avversione conflittuale di classi, ceti, provenienze regionali e nazionali diverse. La periferie devono dunque essere esplorate nella loro specificità per individuare bisogni e predisporre interventi. Ad una sociologia paradigmatica si deve ora sostituire una sociologia militante, vicina alle popolazioni e ai loro problemi.

* Da Periferie sociali: estese, diffuse, Napoli, Liguori 2008. All’Autore e all’Editore il nostro ringraziamento.
** Ordinario di sociologia urbana e rurale, La Sapienza, Università, Roma.
[1] UNFPA, Lo stato della popolazione nel mondo 2007. Liberare il potenziale della crescita urbana, AIDOS, Roma, 2007, p. 5.
[2]C. Zimmermann, L’era delle metropoli, Il Mulino, Bologna, 2003.
[3] Comitato Giorgio Rota, Terzo rapporto annuale della grande Torino, Guerini e Associati, Torino, 2002.
[4] L. Mumford, “La fine di megalopoli”, La cultura della città, Edizioni di Comunità, Milano, 1964, pp. 234-242.
[5] F. Martinelli, Città e campagna. La sociologia urbana e rurale, Liguori, Napoli, 1981, IV ed. 2000; F. Martinelli, La città. I classici della sociologia urbana, Liguori, Napoli, 2001, II ed. 2004.
[6] M. Weber, “Concetto e categorie di città”, Economia e società, edizioni di Comunità, Milano, 1962, pp. 376-390.
[7] F. Martinelli, Poveri senza ambiente. La sociologia della povertà e della miseria. La condizione dei senza casa a Roma, Liguori, Napoli, 1995, III ed. 2002.
[8]Platone, Opere complete, vol. VI, Clitofonte…, Laterza, Bari, 2003, “Timeo”, pp. 371-372.
 
[9] UNFBA, Lo stato della popolazione del mondo, cit., “Indicatori”, p. 86.
[10] J. Jacobs, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane. New York, 1961, edizioni di Comunità, Torino, 2000.
[11] J. Gottmann, La città invincibile. Una confutazione dell’urbanistica negativa, Angeli, Milano, 1983.
[12] G. Della Pergola, Il declino della città. Saggi di sociologia urbana, Liguori, Napoli, 1994.
[13]P. L. Cervellati, “Sconfitti sulle periferie”, in V. Emiliani, V. Raponi, P. Vizzini, Il declino
della città, Quaderni del Circolo Rosselli, Giunti, Roma, 1996, n. 3.
[14] M. Vittorini, “Le città di Roma”, U. De Martino, F. Martinelli, Roma. Verde e quartieri nella città metropolitana, Bulzoni, Roma, 1992, p. 35.
[15] F. Martinelli, Roma nuova. Borgate spontanee e insediamenti pubblici, Angeli, Milano, 1987, 1990, p. 246.
[16] R. Tessa, “Le città scoppiano perché hanno un centro”, Affari e finanza, 29 settembre 2003, p. 32.
[17] D. Desario, B. Picchi, “Primo sgombero con l’aiuto degli agenti romeni”, Il Messaggero, Cronaca di Roma, 20 luglio 2007, p. 53.
[18] A. Ilinova, “Ricerca di Architettura. Viaggio tra le “case” dalla foce alla fonte”, Metropoli, 3 giugno 2007, p. 9. Per una descrizione dettagliata si veda C. Moccaldi, I. Savio, “Roma e il popolo del fiume, sulle rive 6mila inquilini”, Metropoli, 3 giugno 2007, pp. 8-9.
[19] S. Caleo, “Una mappa delle baraccopoli, tre mesi di ricerca universitaria”, Epolis Roma, 9 giugno 2007, p. 32.