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Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma – Istisss – Istituto per gli Studi sui Servizi Sociali – Roma

Pratiche motorie: indipendenza e autonomia per l’inclusività

V. Barbieri

2/2009 n.s

Giovani e disabilità
Il rompicapo demografico in cui è precipitato il vecchio continente non discrimina nessuno, neanche il mondo della disabilità. Le strategie delineate a livello europeo[1] collocano nell’agenda politica dei Paesi membri la questione del calo delle nascite, del rapporto tra generazioni e dell’evoluzione dei sistemi di welfare. Infatti, in occasione della Giornata Europea per le Persone con Disabilità 2006[2], la Commissione Europea ha organizzato un incontro dal titolo “Gioventù = Futuro. Creiamo un futuro eguale per tutti” con l’evidente finalità di promuovere strategie dipartecipazione e inclusione sociale dei milioni digiovani con e senza disabilitàprovenienti dall’Europa allargata. La Commissione ha intenzione di dare priorità al coordinamento di azioni positive per migliorare i diritti e garantire un’effettiva cittadinanza europea alle persone con disabilità, fra i 15 e i 25 anni, di tutta Europa. È chiaro che si attribuisce un significato al percorso educativo come ponte per un’effettiva occupabilità e conseguentemente come chiave dello sviluppo personale. Ciò include anche la garanzia dell’accesso ad ogni offerta formativa e della mobilità transnazionale. 
            È evidente che le preoccupazioni delle istituzioni europee risiedono anzitutto nei problemi dell’economia e del lavoro differendo ad un piano di interesse accessorio la sfera della relazione umana, della consapevolezza di sé e della conoscenza delle comunità in cui si vive. D’altro canto i dati europei[3] manifestano una difficoltà endemica di giovani con disabilità ad accedere al mercato del lavoro a causa diimpedimenti ambientali comeilpregiudizio diffuso dei datori di lavoro, ma anche dei colleghi, lamancanza di accesso ai canali educativi e formativi, e la persistenza di barriere fisiche e tecnologiche che ovviamente sinora non vengono superate  né dai programmi di trasporto accessibile né da quelli di adattamenti al posto di lavoro.
            La questione riguarda anche l’Italia nonostante l’ingente numero di studenti con disabilità che frequentano gli atenei del nostro Paese e che presumibilmente trovano più facile accesso al mercato del lavoro. Allo stesso tempo, vi è il ricorso alle cooperative sociali quale unica via di occupazione per le persone con disabilità motorie più gravi, che trova persino ancoraggio in presunti provvedimenti normativi attuativi della Strategia di Lisbona come la cosiddetta legge Biagi[4].
            Per uscire dal ghetto magistralmente raccontato da Nunzia Coppedè[5] e da Ruben Gallego[6], i giovani con disabilità rischiano ancor oggi di ritrovare maggiori opportunità in luoghi dedicati dove incontrano solo giovani con esperienze analoghe piuttosto che nel mondo di tutti. L’approccio salvifico al dolore ha una radice teologica che in epoche non troppo distanti si è disvelata pragmaticamente con le sue valenze nel “ricostruire la completezza” della persone a fronte di sanatori o brefotrofi istituiti al fine di attendere la morte. Col sopraggiungere di istanze di vita indipendente e di autodeterminazione ha mostrato la sua fragilità: non si trattava più di “combattere contro il dolore” bensì contro le discriminazioni di ogni genere.
Il clima attuale è di recupero dello sheltered work, rifiutato in anni passati come esito disumanizzante della ferocia dell’etichetta negativa imperante dei Gamba di legno o Capitan uncino. Nonostante decenni di esperienza di integrazione, si registra quindi un’involuzione che non sostiene i genitori nella scelta piena dell’integrazione: per lo più è frutto di condizioni istituzionali generate dalle leggi. L’opzione prima è nella ricerca vana della guarigione alimentata da speculatori ormai collocati in ogni angolo del globo terrestre e da media generalisti inadatti e superficiali. La naturaleiperprotettività dei genitori trova così adeguato foraggiamento. Raramente è contrastata da servizi, che tendono a mantenere il ragazzo in carico per il tempo più lungo possibile per ovvio interesse speculativo. Si è creato un circolo vizioso tra negazione della disabilità (ricerca della guarigione) e supposti interventi di capacitazione (riabilitazione).
Larga parte delle aspettative di sviluppo della personalità sono lasciate all’ambito scolastico. È la quotidianità che può essere vissuta come spazio quasi unico in cui tutti hanno la possibilità di crescere e di emanciparsi attraverso lo studio e i momenti di vita comune nel contesto ordinario di vita. È lo spazio dove la persona organizza e costruisce la propria conoscenza, dove scopre la propria identità e gli strumenti che rendono capaci di esprimere la propria cultura, dove allievo e maestro pattuiscono le regole comuni. Dove quindi si formano i cittadini. Senza sottrarsi al compito di preparare anche alla politica e alla vita sociale. La scuola come fortezza del modello sociale contrapposta a quello medico dell’aspettativa di guarigione e dei centri di riabilitazione: la vita frenetica della comunità contrapposta all’odore acre dei disinfettanti di corsia.
 
Indipendenza e autonomia per l’inclusività
 
Il movimento internazionale delle persone con disabilità[7] da diversi anni distingue i due termini partendo dall’etimologia laddove l’una è parte dell’altra ma non viceversa. Infatti l'indipendenza è la situazione in cui una persona o una comunità di persone cessa di essere sottomesso all'autorità di un altro.
Si distingue dall'autonomia, nella quale continuano ad esistere dei vincoli istituzionali tra i due soggetti, tramite i quali uno può avere potere decisionale su determinate materie (competenza) e il centralismo, in cui il potere appunto centralepossiede tutte le competenze.
Prevale un’opzione per la visione dell’indipendenza dove è essenziale l’autodeterminazione. Per quanto sia stata coniata per i popoli sottoposti a colonializzazione nelle norme di diritto internazionale[8], il significato si è esteso a tutte le persone che vivono condizioni di sopruso e discriminazione come le donne, gli stranieri, le minoranze di diversa religione, le persone con orientamenti sessuali differenti, gli anziani, e le persone con condizioni di disabilità di qualsivoglia tipologia e origine[9].
L’autonomia è riferita ad un processo dove i vincoli esistono perché connaturati alle caratteristiche dei servizi coinvolti come per l’area della cura clinica e della riabilitazione. Allo stesso tempo i suddetti vincoli devono garantire trattamenti appropriati e legati alla capacitazione[10] che non generino subalternità o trattamenti inumani e segreganti.
Si tratta quindi di controversia esiziale, per nulla marginale.
 
Vita indipendente
 
I principi della vita indipendente sono ben richiamati in un “Manifesto”[11] il cui testo integrale è reperibile alla pagina web http://www.enil.it/enil.htm: poter vivere proprio come chiunque altro, avere la possibilità di prendere decisioni riguardanti la propria vita, con un lavoro adatto alle proprie capacità ed ai propri interessi, di sbagliare ed imparare dai propri errori, ed aprire spazi di libertà per le persone con cui si vive o si intrattiene una relazione affettiva o di amicizia. Il compendio potrebbe essere libertà e autodeterminazione.
Per meglio comprenderne il significato, è utile far tornare alla memoria qualche breve rimando storico. Il movimento per la vita indipendente ha preso impulso verso la fine degli anni ’60 all’Università di Berkeley in California, dove dominava il movimento studentesco. Ad esso parteciparono studenti con disabilità che aggiungevano la loro specificità alle motivazioni delle proteste originarie: chiedevano a gran voce la chiusura di ogni istituto totalizzante come i brefotrofi e un’assistenza autogestita.
L’esperienza della vita indipendente si andava consolidando attorno a migliaia di Centri per la vita indipendente[12] sparsi per tutti gli Stati Uniti. Nell’ottica federalista, con una sussidiarietà orizzontale che potremmo definire connaturata alla storia di quel Paese, i centri sono i luoghi che orientano le persone con disabilità riguardo a programmi di assistenza pubblica e privata sia a livello statale che federale, a servizi indirizzati a garantire il diritto all’educazione, al lavoro, agli ausili tecnici e tecnologici, alla mobilità ed all’housing o allo sheltering[13].
Proprio perché riguardano la vita delle persone con disabilità, i centri sono amministrati da agenzie non profit progettate e gestite da persone con disabilità. Infatti si basano sulla consulenza alla pari per fornire una moltitudine di servizi per la vita indipendente adeguati ai bisogni delle persone utenti: informazioni e riferimenti dei servizi per la vita indipendente, percorsi di empowerment individuali e divocational training[14], advocacy[15] individuale e di sistema.
La visione di quegli anni è spinta da una carica fortemente innovativa e si richiama a molte parole d’ordine e slogan dell’epoca. Stabilisce chi li gestisce. Dovranno essere agenzie non profit, con chiare regole e modalità di controllo dei consumatori, generate ed inserite nella comunità in cui operano, trasversali rispetto alle diverse forme di disabilità e assolutamente prive di qualsivoglia servizio o legame con strutture residenziali. Il programma federale sostiene la pianificazione, la gestione e la valutazione dei centri che hanno gli standard previsti per legge e che rientrano nelle pianificazioni delle autorità locali del network territoriale di ogni stato.
Tutto ciò è un programma federale[16] – è cioè assolutamente pubblico – gestito dal Ministero dell’Educazione degli Stati Uniti[17], e l’accesso ai centri è completamente gratuito.
In definitiva l’ampiezza di tale movimento negli Stati Uniti è speculare al movimento delle persone con disabilità. Esso difatti è un movimento della società civile, si pone l’obiettivo di far crescere una nuova consapevolezza nella popolazione che non discrimini le persone con disabilità.
In Italia la vita indipendente ha un orizzonte ben più ristretto, se su un sito internet di un’associazione di persone con disabilità, alla voce che cosa è, si legge: “Si tratta di un progetto che migliora la vita  dei  disabili,  in  primo  luogo, ma che allevia anche le fatiche dei loro famigliari,  costretti  24  ore su 24 a soddisfare ogni loro necessità.” È quindi l’anello mancante tra la deistituzionalizzazione garantita dalle leggi e la vita quotidiana delle persone con disabilità: il modello sociale che si traduce in servizi e prestazioni esigibili. Ma non basta. Anche laddove le autonomie locali erogano prestazioni di assistenza in forma diretta, pur stando a casa propria, si deve subire un servizio di assistenza domiciliare che costringe di fatto ad alzarsi, uscire, o andare a letto ad orari stabiliti dal Comune, dalla Asl, o comunque da altri.
Pertanto la rivendicazione assume per target una comunità ben definita: persone con disabilità motoria non autonome negli atti quotidiani della vita. Ed una direzione unica: l’assistente personale assunto direttamente dalla persone con disabilità per il quale si reclama un contratto dignitoso (con relativo finanziamento pubblico), un addestramento operato dalla stessa persona assistita e la disponibilità a svolgere le funzioni con essa stipulate. Ecco la libertà di scelta: da chi farsi aiutare, come e quando.
Ciò appare sicuramente mortificante la dimensione originaria ed universalistica che riguarda ogni persona in ogni attività di vita, ma è frutto dei ritardi politici, amministrativi e in fondo sociali che il Paese mostra perfino con troppa arroganza. In fin dei conti quel gruppo scelto come primo soggetto da dover liberare dalla subalternità di un welfare fin troppo medicalizzato ed ancora risarcitorio, può essere paradigmatico di una società in evoluzione nonostante le innovative esperienze di allargamento ad altre tipologie di disabilità.
 
Autonomia
Sarebbe però fuorviante ridurre la vita indipendente al mero campo assistenziale. Ogni persona con disabilità nell’affrontare con coraggio il mare aperto dell’inclusione sociale, si trova davanti a problemi endogeni che riguardano il sé corporeo e l’io, e problemi esogeni intesi come i fattori ambientali del contesto di vita.
Nel primo caso si tratta di raggiungere la consapevolezza e, conseguentemente, di prendere pienamente possesso su di sé. Non è un processo di uscita dallo stato di fragilità abusato nella pianificazione di strategie, politiche ed interventi. Anzi. Le persone con disabilità vivono con estrema determinazione il loro stato di marginalità in cui il contesto ancora oggi le costringe. È lo stato di mancanza di uguaglianza di opportunità che frustra le loro aspirazioni, in qualità di cittadini tanto quanto di utenti consumatori di beni e servizi.
Consapevolezza e presa di possesso su di sé sono quindi processi chiave, caratterizzati da una forte individualizzazione. Per personalizzare processi inclusivi è necessario dischiudersi a nuove visioni che non avviliscano nella standardizzazione odierna imperante le aspirazioni delle persone con disabilità. Due nuove nozioni si affacciano: capacitazioni e funzionamenti, come misure più adeguate della libertà e della qualità della vita degli individui. In estrema sintesi, secondo Amartya Sen[18] la qualità della vita e l'eguaglianza non è certificata solo attraverso i tradizionali indicatori della disponibilità di beni materiali, ma soprattutto analizzando la possibilità di vivere esperienze o situazioni cui l'individuo attribuisce un valore positivo. Non solo, quindi, la possibilità di nutrirsi e avere una casa adeguata, ma anche essere rispettati dai propri simili e partecipare alla vita della comunità. Secondo Sen, i funzionamentisono, in sostanza, le esperienze effettive che l'individuo ha deciso liberamente di vivere. Le capacitazioni sono invece le alternative di scelta, ossia l'insieme dei funzionamenti che un individuo può scegliere.
Torna pertanto la necessità di garantire l’eguaglianza di opportunità nei processi di abilitazione che evitino derive medicalizzanti, ma aggrediscano in maniera multidisciplinare e multiprofessionale le necessità della persona, mettendo a disposizione servizi e prestazioni appropriate. A partire da un approccio fondato sulla paretiticità del rapporto che bandisca ogni rischio di subalternità. È la persona ad essere protagonista delle sue scelte di vita, il servizio e l’operatore hanno il mero ruolo di facilitazione. Significa attribuire potere e responsabilità alle persone con disabilità.
Se la persona con disabilità sarà rafforzata nelle proprie capacità ed abilità otterrà più facilmente l’autonomia, l’indipendenza e l'inclusione sociale. È necessario saper proporre il paradigm shift[19], il cambiamento di prospettiva e percezione della propria condizione essenziale all'accrescimento di abilità e capacità. Nelle pratiche di empowerment fondate sulla strategia dei diritti umani, in ogni ambito della discriminazione, è il consigliere di parità[20], persona che ha sperimentato la mancanza di eguaglianza di opportunità fondata su una precisa condizione, a sostenere nei percorsi di autonomia ed autodeterminazione altre persone con lo stesso vissuto.
“La consulenza alla pari è un metodo che permette alla persona con disabilità di accrescere la propria consapevolezza rispetto alle sue reali risorse e capacità ed ai suoi limiti. È come ogni forma di consulenza un rapporto interpersonale, nell'ambito del quale una persona (consulente) cerca di aiutare un'altra (consultante) a capire i suoi problemi ed a individuarne una soluzione adeguata.
La consulenza alla pari è una relazione di aiuto che si realizza tra persone che sono "pari". Nel nostro caso, le persone sono pari perché hanno in comune la disabilità. Tuttavia, esse differiscono per il fatto che il consulente si trova nel suo processo di crescita più avanti rispetto al consultante: vale a dire che il consulente è più integrato, cioè ha più consapevolezza rispetto ai suoi vissuti di persona disabile, e questo gli consente di vivere pienamente la propria vita, tenendo conto dei propri limiti e delle proprie potenzialità.
Egli svolge la funzione di "modello di ruolo" nei confronti del consultante attivando in quest'ultimo un lavoro di promozione delle sue capacità (empowerment) e un processo che lo porterà a diventare più forte nel confrontarsi con la propria vita e a cavarsela meglio nell'affrontare il mondo.”[21]
Questo cambiamento di prospettiva si pone quale chiave di volta nel processo di vita indipendente. È pertanto propedeutico al raggiungimento dell’autonomia possibile, ma ovviamente non sufficiente. Sono necessari altri elementi costruttivi disposti uno a fianco dell'altro per completare l’arco. Nel nostro caso questi possono essere rubricati tra i fattori ambientali di contesto, indi come elementi esogeni dell’autonomia slegati da meri agenti dipendenti dallo stato di salute della persona e dalla relativa azione di cura. Ad esempio, l’acquisizione della carrozzina adeguata alle necessità della singola persona è vincolata all’offerta di servizi di consulenza appropriati che forniscano validi strumenti per affrontare un mercato sconosciuto ai più prima dell’evento causa della disabilità motoria.
 
Nulla di più facile che partire dai bisogni per raggiungere la migliore autonomia possibile, ritornando agli elementi costitutivi dell’indipendenza come: il miglioramento delle autonomie fisiche in ogni ambito delle attività di vita quotidiana, e delle pratiche assistenziali dei care giver; la scelta dell'ausilio e la postura più adatto alle caratteristiche individuali e a mantenerlo; la progettazione dell’abitazione, del posto di lavoro o di studio; la scelta dell'ausilio tecnologico confacente alle esigenze di autonomia – anche nella comunicazione – nell'ambiente domestico, scolastico, lavorativo; la scelta dei dispositivi di guida o trasporto per il veicolo più adatto alle necessità individuali ed eventualmente conseguire o trasformare la patente di guida; l’orientamento verso la professione più adeguata con il bilancio di competenze, l'analisi di percorsi formativi ed eventualmente il vocational training; il tema del tempo "liberato"[22] con attività ludiche, hobbistiche, sportive, etc.; quello delle risorse psicologiche individuali, familiari e affettive con attenzioni specifiche alla sessualità; reperire le informazione sui diritti esigibili e su come ottenerli.
Appare evidente come le opportunità di intraprendere tutti questi processi non si possano esaurire in un unico luogo. Prendiamo a dimostrazione un center for independent living nordamericano. Esso è un nodo di una rete. Un nodo importante ecapacitante, ma in alcun modo sostitutivo di altre competenze verso le quali esso stesso deve saper fare un passo indietro. I bisogni delle persone trovano soddisfazione nelle dimensioni – le più diverse – della società.
Non si può che immaginare una messa a rete dei servizi dove ogni soggettività sia interfacciata con l’altra senza gerarchie, subalternità e frammentazione. Solo l’orizzontalità e la facilitazione all’accesso permetteranno alla persona con disabilità di navigare liberamente nella società “liquida”[23] come chiunque altro.
La libertà e la capacità che caratterizzano l’individuo determinano il suo protagonismo nelle scelte.
 


[1] Consiglio Europeo, Conclusioni della Presidenza, Lisbona 23 e 24 marzo 2000.
[2] La Commissione Europea celebra a in corrispondenza con l’annuale Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, proclamata dalle Nazioni Unite nel 1992 con la Risoluzione n° 47/3 del 14 ottobre.
[3]Commissione delle Comunità Europee, Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo a al Comitato Delle Regioni, Bruxelles, 30.10.2003, COM(2003) 650 definitivo.
[4] D.Lgs. 10 settembre 2003 n. 276 “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla L.14/2/03 n. 30” art. 14.
[5] Al di là dei girasoli, Edizioni Sensibili alle Foglie.
[6] Il bianco e il nero, Adelphi.
[7] In particolare Disabled People International (Dpi) organizzazione “cross disability” nata nel 1981 a Singapore e presente nei 5 continenti ed in 110 paesi; da questa in Europa ha preso vita nel 1989 a Strasburgo European Network of Independent Living (Enil) composta di persone con disabilità motoria.
[8] Capitolo I, all'articolo 1, paragrafo 2, della Carta delle Nazioni Unite, lo Statuto delle NU firmato da 51 membri originari ed adottato per acclamazione a S. Francisco il 26 giugno 1945.
[9] Art.13 Trattato di Amsterdam dell’UE approvato il 17 giugno 1997 dalla Conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri (Conferenza Intergovernativa – CIG) e firmato il 2 ottobre 1997 dagli Stati membri.
[10] Libera traduzione di “empowerment”.
[11] Documento elaborato da John Fischetti, in parte basato su testi di Raffaello BelliMiriam Massari eIda Sala nel 1996.
[12] CILs – Centers for Independent Living.
[13] Da non confondersi con la vita comunitaria dei gruppi appartamento, delle comunità alloggio o quant’altro.
[14] Prepara persone per carriere che si fondano sul lavoro manuale o su attività pratiche tradizionalmente non universitarie e completamente correlate con una specifica vocazione ovvero nei termini in cui la persona partecipa con motivazione.
[15] L'atto di disputa legale circa un particolare argomento, un'idea o una persona specifica. Può includere comunicati ai mass media, dialogo con i rappresentanti politici, coinvolgimento della Comunità, comunicazione che educhi la pubblica opinione, eccetera allo scopo del rinnovamento politico e sociale.
[16] Legge di riferimento: Rehabilitation Act of 1973, e successivi emendamenti, Title VII, Chapter 1, Part C, Secs. 721–727; 29 U.S.C. 796f–796f-6.
[17] U.S. Department of Education – Promoting educational excellence for all Americans – Office of Special Education and Rehabilitative Services (OSERS).
[18] Amartya K. Sen (Santiniketan1933), economista indiano, Premio Nobel per l'economia nel 1998,Lamont University Professor presso la Harvard University. In particolare vedi "Lo sviluppo è libertà",Mondadori (2000).
[19] Thomas Khun ne La Storia delle Rivoluzioni Scientifiche (1962) riferendosi esplicitamente alla ricerca scientifica, teorizzava su nuove scoperte che, rovesciando intere parti consolidate di conoscenza, instaurano nuove cornici teoriche in grado di catturare ogni aspetto dello scibile umano. Secondo molti studiosi dei diritti umani, il termine può essere utilizzato per il nuovo approccio.
[20] Attività lavorativa inclusa nel V Rapporto di monitoraggio sulle professioni non regolamentate del Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), Roma, aprile 2005.
[21] Citiamo la descrizione universalmente acquisita di Disabled People International Italia la cui esperienza in materia è unica: elaborazione, formazione e pratica istituzionalizzata (http://www.dpitalia.org/donne/kit4.htm).
[22] Le persone con disabilità non autonome e costrette nella propria abitazione hanno la possibilità di trattamenti di cura e riabilitazione; secondo l’attuale sistema possono raggiungere l’opportunità di un’occupazione; l’indipendenza significa anche conquistare nuovi spazi come il tempo libero.
[23] Zygmunt Bauman (Poznan19 novembre 1925), sociologo britannico, dal 1971 al 1990professore di Sociologia all'Università di Leeds, ha paragonato il concetto di modernità e postmodernità rispettivamente allo stato solido e liquido della società.