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Gaino A., Il manicomio dei bambini. Storie di istituzionalizzazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2017

E’ il “vaso di Pandora”, quello che nessuno di noi avrebbe mai voluto scoperchiare. Il tappo che sigilla il male, i mali di tutto il mondo che, se fosse rimasto chiuso, ci avrebbe salvati dall’universale sofferenza.

Un filo sottile, rosso incandescente, tiene legate le storie vere di molti bambini. Loro hanno un nome: Saverio, Maria, Libero, Aldo, Grazia, hanno un’identità che l’autore non vuole far dimenticare, perché il loro ricordo, la consapevolezza delle loro tristi e dolorose esistenze devono arrivare fino alle ossa, farci venire brividi raccapriccianti, scuotere prepotentemente le nostre coscienze.

Ma quella realtà ci appare lontana, ci stupisce vero, ma la si considera oramai passata, non più attuale, e questa percezione ci tranquillizza, ci fa sperare che tutto ora è diverso, che l’infanzia dei nostri figli è tutelata, preservata.

Le immagini rappresentate in bianco e nero parlano dei manicomi per bambini, dei motivi assurdi per i quali veniva deciso il loro ricovero, di come finivano le loro brevi vite passate legati in un letto. Le immagini in bianco e nero parlano ancora delle assurde sperimentazioni perpetrate sulla loro pelle in nome della scienza e a volte anche in nome di Dio. Destini scontati dei “figli del peccato” , nati dalla “serva” violentata dal “padrone”, corpi maltrattati e anime lacerate per sempre.

Il treno che parte dal passato, lentamente, sopra binari stridenti, ci conduce ad un tempo più recente e le immagini che prima erano in bianco e nero cominciano a tingersi di qualche colore. Le pennellate, però, sono ancora composte da nuances per nulla rassicuranti ed esse vengono miscelate in un impasto omogeneo di interessi economici, di coperture politiche.

La realtà che prima ci appariva lontana, e quindi meno minacciosa, ora si fa più tangibile.

Negli anni sessanta c’è “Villa Azzurra” a Torino, verso la fine degli anni settanta “il caso del Forteto, manicomio senza sbarre” diventato una realtà economica di grande rilievo, dove sono stati commessi anche reati di abusi sessuali, “il profeta predicava, pretendeva e imponeva solo rapporti omosessuali”.

Una visione poco edificante del nostro presente, poi, si scopre nei racconti del “Viaggio in Calabria”, con gli immigrati, i loro figli e i figli di nessuno. La crisi economica mondiale, il terrore per lo straniero diventano “alibi” ai quali si fa riferimento per giustificare le nefandezze, le drammatiche verità, le inconcepibili visioni di realtà mistificate, intrise di scandalosi comportamenti. Sembra strano, ma anche loro hanno un nome: Pablo, Ahmed, Ionut sono bambini, bambine, giovani adolescenti. La mafia, la ‘ndrangheta, il traffico di organi, la prostituzione, i nuovi “lager” dell’accoglienza e soprattutto “le tante giornate vuote” passate lì dentro.

Ecco, un lungo viaggio, triste, doloroso che affronta con documenti dettagliati i nostri anni. Corpi vilipesi, anime martoriate, occhi atterriti dalla paura, dal dolore fisico, dal male della mente e dalla nostra innegabile incapacità di far fronte in modo adeguato e libero a tutto questo.

Finalmente, proprio alla fine, appare un po’ di luce e con “pennellate variopinte” viene raccontata “l’accoglienza diffusa” di Gioiosa Jonica, di Riace in Calabria, offrendoci uno spiraglio di speranza, quella speranza che è rimasta in fondo al “vaso di Pandora” che qualcuno ha chiuso, ma che forse, lo speriamo tutti, non è riuscito a sigillare per sempre!

Eliana Iocchi