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Recensione “La difficoltà di essere speciali” di Costanzo S. e Scortegagna R.

N. 4/2013

RECENSIONE DI LUISA MANGO – Il bel libro di Santa Costanzo e Renzo Scortegagna dal titolo “La difficoltà di essere speciali” si inscrive nella tradizione della medicina narrativa. Come è noto, quest’ultima è caratterizzata dall’approccio biografico alla malattia. Essa recupera racconti di vita scritti e/o orali sollecitati o autoprodotti, di soggetti indicati come rappresentativi di una certa realtà, o significativi proprio per la particolarità del percorso esistenziale.
Il tentativo è quello di superare un atteggiamento positivistico in favore di una narrazione tesa a valorizzare gli aspetti soggettivi e psicologici e quelli oggettivi relativi all’analisi del contesto. La persona al centro, con la sua identità culturale e sociale, ordina ed attribuisce senso alla propria esperienza, connettendola ad un comportamento collettivo, come parte di un continuum di mutamento storico. L’originalità dello scritto sta nel duetto a due voci tra una persona disabile di professione medico e un sociologo. Da questo incontro interdisciplinare emerge un racconto utile sotto molteplici aspetti: “un libro scritto da chi vive la malattia per tutte le persone che malate non sono, così che non si perdano sulla via dei pregiudizi e della consuetudine e sappiano trattare i malati come meritano”. Nell’introduzione di Antonia Arslan si nota: da un lato la protagonista della malattia narrante tanti episodi, dall’altro il sociologo che cerca di spiegare gli eventi narrati e di trarre utili correttivi, proposte intelligenti e suggerimenti di comportamento. Si delinea in tal modo una mappa di molteplici aspetti che è bene riportare:

malattia e malattia invalidante: con l’approfondimento della differenza concettuale tra invalidità, disabilità, diversa abilità e della possibile deriva verso le disuguaglianze generate dalle disponibilità delle risorse. Diventa quindi obbligatorio il riferimento all’ICF e alla convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità;

curare e prendersi cura: focalizzarsi sulla malattia oppure prendersi cura globalmente della persona. Ma i due termini non sono sinonimi e nemmeno alternativi. L’uno non contraddice, né esclude l’altro. Non si può curare senza prendersi cura, né si può fare viceversa. Da qui la necessità di riflettere sulla organizzazione sanitaria, sulle modalità di informazione e comunicazione, base della costruzione della fiducia;

medici e servizi sanitari: il benessere evocato dall’OMS è armonia delle parti ma esso non è di  natura lineare. Si tratta di dinamiche che si sviluppano variamente, da individuo  ad individuo,  in relazione alle loro caratteristiche e contesti ambientali. Si profila pertanto, da parte degli operatori, il rischio di non saper capire tutti questi aspetti, e quindi di non sapere diminuire la sofferenza;

diritti bisogni  e ambiente: quanti sono i bisogni? quale è la loro qualità? quale è la correlazione tra bisogni diritti e benessere? Il riferimento a Maslow e alla gerarchia dei bisogni diventa inevitabile. Bisogni di sopravvivenza, di salvezza, di appartenenza, di approvazione, di riconoscimento, di realizzazione di sé.

La diversità dei livelli di benessere raggiunto o raggiungibile genera disuguaglianza che non dipende solo da fattori intrinseci all’individuo, ma anche da situazioni sociali. Quindi in tale ottica il problema non consiste nel creare situazioni uguali per tutti, ma di affermare che i diritti sono uguali per tutti, mentre le modalità di esigerli sono diverse. Si pone in tal modo il problema del superamento dell’integrazione a favore del concetto di inclusività, di appartenenza sociale che riconosca la diversità ed il suo diritto alla autodeterminazione;

–        gli altri-relazioni e contesti culturali: gli altri sono una molteplicità di personaggi, di situazioni e quindi c’è necessità di analizzare le relazioni in termini di legami che esse stesse producono in un continuum dinamico, affinché esse diventino esperienza di vita.

Le dimensioni individuali non sono indipendenti dagli aspetti sociali e culturali. Deriva da qui  l’importanza da dare a tutti quegli attori che contribuiscono alla costruzione del modello culturale: non solo la famiglia, la scuola, la chiesa, ma anche i social network, dove prevalgono posizioni e ruoli paritari e dove i modelli sono più precari ed incerti. In conclusione è davvero un bel libro, che offre spunti metodologici per sviluppare il concetto di empowerment basato sull’autostima di sé e sulla autodeterminazione. Un libro da diffondere nelle scuole di formazione e nelle associazioni.